martedì 15 luglio 2008

La sanità è la prima industria della Sicilia.




Tratto da "Mani sporche"
La sanità è la prima industria della Sicilia con 60mila occupati, una spesa pubblica di 7,4 miliardi di euro l'anno (1500 euro procapite) che si porta via il 32 per cento del bilancio regionale; più una spesa privata imprecisata, ma anch'essa altissima. Le convenzioni e gli accreditamenti stipulati dalla Regione di Cuffaro con studi medici, laboratori di analisi, centri dialisi, chiniche e ambulatori privati sono 1826: tanti quanti la somma di tutte le convenzioni private in tutte le altre 19 regioni italiane, venti volte quelle dell'Emilia Romagna. I rimborsi applicati dall'assessorato siciliano alla Sanità sono maggiorati in media del 20-30 per cento rispetto a quelli registrati nel resto d'Italia. L'Ausl 6 di Palermo ha un deficit di 220 milioni di euro, quasi la metà del disavanzo sanitario complessivo della Regione (che nel 2004 era di 460, con una crescita di 30 milioni al mese). Inoltre molte prestazioni attuate con tecnologie d'avanguardia sono pagate extra-tariffario, con contratti di tipo personale. Interi settori vitali, come il trattamento dei tumori e le dialisi sono ormai abbandonati dal servizio pubblico e gestiti esclusivamente da privati. In compenso il settore privato diserta servizi medici essenziali ma considerati poco redditizi, come l'emergenza e la rianimazione, per non dire della medicina preventiva e dell'informazione sanitaria. Interi ospedali pubblici e centinaia di macchinari, costati centinaia di miliardi, giacciono inutilizzati e abbandonati al vandalismo e al degrado. Il 95,9 per cento degli appalti - in ogni settore, non solo nella sanità - vengono aggiudicati con un ribasso dell'1 per cento (contro una media del 16-20 nel resto del Paese): il che significa che tutte le aste sono truccate con accordi sottobanco che eliminano in anticipo ogni barlume di concorrenza. Il tutto grazie al capillare controllo preventivo della mafia, che non ammette sgarri...

Risultato: le opere pubbliche in Sicilia costano in media tra il 16 e il 20 per cento in più che nel resto d'Italia.
Per questo il dottor Guttadauro divideva le sue giornate a metà. La mattina era solito ricevere politici, avvocati e medici, con i quali decideva i primariati e gli appalti negli ospedali. Poi, nel pomeriggio, apriva le porte del suo salotto ai killer e agli estortori del clan di Brancaccio, per deliberare sul pizzo da imporre ai commercianti e agl'imprenditori. Secondo calcoli di Polizia e magistratura, il racket nel quartiere di Brancaccio (100 abitanti, più di tanti capoluoghi come Enna, Siracusa, Caltanissetta...) fruttava ogni anno al clan regnante circa 1 miliardo e mezzo di lire; i rimborsi regionali a una sola clinica di Aiello 100 miliardi di lire. Basterebbe questo dato per tagliar corto con le rappresentazioni folkloristiche della mafia tutta coppole e lupare, rispetto alla borghesia mafiosa che l'ha via via soppiantata in questi ultimi anni. Le due facce del potere mafioso - "cervello borghese e lupara proletaria2, per dirla col procuratore Scarpinato - non possono mai essere scisse. Infatti la torta della malasanità siciliana è talmente appetitosa che nemmeno la presenza mafiosa riesce a dissuadere gli investimenti da fuori, anzi li attira con la sua rassicurante regolarità. Colossi sanitari del Nord, come l'Humanitas di Milano e la Fondazione San raffaele di don Verzè sbarcano in Sicilia per creare grandi centri privati di medicina di eccellenza, naturalmente convenzionati con la Regione. Eppure, negli ospedali siciliani, si continua a morire per un'appendicite. E il miglior medico continua a essere l'Alitalia.

E poi abbiamo anche l'Abruzzo:

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