mercoledì 20 agosto 2008

RIFLESSIONI SUL CROCIFISSO



Premessa
Prima non eravamo niente, poi, a un certo momento, siamo nati, siamo vissuti e con la morte siamo ritornati ad essere niente.
Nulla - esistenza - nulla.
Una cosa fra due nulla… è come se non fossimo mai esistiti! Qualcosa dopo la morte c’è ma, soprattutto, c’è qualcosa prima della vita. Pertanto smettiamola di preoccuparci dell’aldilà e concentriamoci sull’al di qua.
Il religioso sacrifica la vita per la morte. Io rinuncio a tutto, ai piaceri della vita, a me stesso, soffro e mi sacrifico, però, poi, pretendo la vita eterna.
Soffrire con i parenti in rianimazione è buono, perché ciò, -il patimento- mi garantirà con gl’interessi, l’estasi del paradiso. E’ il meccanismo psicologico delle religioni: il musulmano si sacrifica a patto che, dopo la morte, godrà di una ricompensa.
Nel medioevo si usava autoflagellarsi per espiare, attraverso il dolore, i peccati commessi.L’ossessiva paura del Dopo ci fa rinunciare alla vita.

RIFLESSIONI SUL CROCIFISSO

Guardando con distacco l’immagine e il messaggio che esprime il crocifisso risulta sconcertante la figura di un uomo morto inchiodato ad una croce. Un corpo dilaniato, sanguinante, umiliato e martoriato. Il risultato è in effetti, l’adorazione di un cadavere, l’adorazione della morte. La divinizzazione del trapasso, del dolore come paradigma, come aspirazione suprema, la salma esanime come confluenza delle finalità di tutte le manifestazioni della propria esistenza.Insomma, di fronte al crocifisso noi adoriamo la morte e non una morte ‘normale’, ma una morte cruenta, intrisa di dolore, di negazione verso il corpo, verso la vita, il piacere, l’amore.
Posto davanti ai bambini in classe potrebbe anche spaventare la figura di un uomo conficcato da chiodi. Si induce, già in tenera età, verso una specie di necrofilia sacralizzata. E’ vero, Gesù è morto per noi, e ciò viene ribadito, anzi, rinfacciato come di un atto non dovuto, di un atto concesso da un eroe che si sacrifica in una battaglia che in fondo non gli appartiene e perciò degno di ringraziamento ulteriore. Se il Cristo è tale, lo è essenzialmente per un fatto fondamentale e cioè, la sua Resurrezione. Se Gesù non fosse risorto non saremmo qui a parlarne. Ed è lì la sacralità del cristianesimo, nel superamento della morte, nel trascendere la misera esistenza verso la vita eterna e beata. Quindi, il simbolo più appropriato dovrebbe essere la figura di un Cristo ‘risorto’ e non di un Cristo deturpato su una croce. La conseguenza di ciò, la conseguenza dell’adorazione di un cadavere, è l’ambire cattolico al dolore come sacra aspirazione; ogni atto volge a una “crocifissione” di se stesso e degli altri.
Il male subìto diventa un bene come prova di patimento, di sopportazione, di espiazione per l’omicidio dell’Uomo. La nostra società, cristiana medioevale, si alimenta di dolore, di peccati, di male gratuito poiché solo attraverso il martirio, l’autoflagellazione, di un “santo” sadomasochismo, possiamo espiare le colpe ‘imposte’ da una concezione necrofila dell’essenza umana.
La nostra quotidianità, nonostante la presenza capillare degli adepti di una Verità che opprime la vita, è costellata d’intrighi, invidie, raggiri, inganni, d’effettiva chiusura verso l’altro per evitare il ‘piacere’ di stare insieme (la libido). La ferita sul costato è un’aggiunta per non lasciare alcuno spazio a fantasie carnali; il lenzuolo è una castrazione. Il risultato è una vita fatta di sensi di colpa, di contraddizioni, del subdolo piacere verso il dolore dato e ricevuto, di tutto ciò che, contraddicendo la nostra natura sociale, solidale, umana, terrena, va ad alimentare quel sistema che si nutre del senso di colpa, del peccato, del male che scaturisce dal rifiuto della propria essenza umana, carnale e terrena, in virtù di una spiritualità vaga e impalpabile. Gesù non scrisse mai niente perché gli scritti sono suscettibili d’interpretazioni strumentali. Il messaggio più alto che possiamo esprimere dopo millenni di storia, è che dobbiamo sollevarci verso la gloria del Signore, verso la Redenzione, trainando con noi non solo l’anima, ma tutta la terra e i demoni dell’inferno perché la Gloria sia davvero totale e onnipervadente.

“Il bene è innegabile. Il male è la negazione del bene, pertanto il male non esiste.” S. Agostino

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