domenica 7 febbraio 2010

Sul branding onnipervasivo e il rbaltone




Vorrei ricollegarmi all'ultimo video dove ho dimenticato di parlare del branding che deriva da brand (marchio) ed è l'imposizione del marchio nella cultura, cioè il marchio che si fa stile di vita, finalità, cultura appunto.
Faccio un es. mentre prima la pubblicità si affiancava ad un evento culturale come un concerto musicale, appariva nelle locandine in piccolo come contorno, con l'avvento del branding il marchio, come la coca cola, diventa attrazione principale; la coca cola "presenta il concentro". Avviene quindi il ribaltone, il marchio appare più grande dell'evento culturale che viene relegato ad appendice, diventa contorno del marchio stesso. Quindi abbiamo frotte di gente che succhiano coca cola immersi in una musica di sottofondo, il rock, il concerto.
Questo fenomeno si è sviluppato negli anni novanta, i famosi anni del ribaltone, ricordate?
Il ribaltone non fu, come ci fecero credere, il passaggio di deputati da uno schieramento politico ad un altro per ribaltare il governo, ma fu un passaggio epocale di sistema. Fino ad allora l'azienda, o la lobby economica, aveva come referente uno o più partiti politici che in parlamento legiferavano a loro favore, con il ribaltone ora abbiamo partiti politici -appendici, specchietti per le allodole -che hanno come riferimento in parlamento aziende e lobby che legiferano direttamente per se stessi senza più intermediari.

Leggo dei passaggi dal libro No Logo:

"La mia amica Monica dice che suo figlio di sette anni non segna i compiti con asterischi o altro ma con i piccoli logo rossi della Nike.
Fino ai primi anni Settanta, le marche sugli abiti erano generalmente nascoste alla vista, discretamente posizionate all'interno del colletto. Nella prima metà del secolo erano apparsi piccoli simboli all'esterno delle camicie, ma era un abbigliamento sportivo, riservato ai corsi di golf e ai campi da tennis dei ricchi. ... A metà degli anni Ottanta, a Lacoste, Ralph Lauren si unirono Calvin Klein, Esprit e, in Canada, Roots; da affettazione ostentata, il logo divenne gradualmente un accessorio di moda. Estremamente eloquente era il fatto che il logo stesse aumentando di grandezza, passando dai due centimetri alle dimensioni di un torace. E il processo di inflazione del logo prosegue, esempio clamoroso ne è Tommy Hilfiger, il quale ha diffuso per primo uno stile di abbigliamento che trasforma i suoi fedeli seguaci in bambolotti che camminano, parlano e vivono, mummificati in mondo firmati Tommy Hilfiger.
La crescita progressiva del ruolo del logo è stata così rilevante da provocare un cambiamento sostanziale. Negli ultimi dieci-quindici anni, i logo sono divenuti talmente importanti che hanno radicalmente trasformato l'abbigliamento, riducendolo a un mero veicolo del marchio. Per dirla con una metafora, l'alligatore si è letteralmente mangiato la camicia.
... A metà degli anni Novanta, aziende come Nike, Polo e Tommy Hilfiger erano pronte a portare il branding a un livello successivo: non più apporre il proprio marchio solo sui prodotti, ma anche sulla cultura esterna. Sponsorizzando eventi culturali, potevano uscire nel mondo e rivendicarne alcune zone come avamposti del loro nome commerciale.
Per queste aziende il branding non era solo questione di aggiungere valore a un prodotto. Si trattava di assorbire avidamente spunti culturali e iconografici che i marchi potevano riflettere sulla cultura come proprie "estensioni". In altre parole, sarebbe stata la cultura ad aggiungere valore ai marchi.
... il branding è applicato ai paesaggi urbani, alla musica, all'arte, ai film, agli eventi pubblici, ai giornali, allo sport e alle scuole. Tale ambizioso progetto fa del logo l'anima di ogni cosa esso tocchi: non un complemento o una felice associazione, bensì l'attrazione principale.
La pubblicità e la sponsorizzazione hanno sempre usato le immagini per equiparare i prodotti a esperienze culturali o sociali positive. Ma l'elemento che caratterizza il branding anni Novanta è lo sforzo incessante per portare queste associazioni fuori dal regno della rappresentazione e trasformarle in realtà vissuta. Perciò non si cercano più solamente attori bambini che bevano Coca-Cola in uno spot televisivo, ma studenti universitari che svolgano, durante una lezione, un brainstorming per la prossima campagna della Coca-Cola."

Nessun commento: