venerdì 15 maggio 2009

Le condizioni di lavoro dell’operaio Ilva nel reparto GRF -Reportage dall'inferno-

Questa relazione l'ho scritta e divulgata privatamente nel 2007. In questi giorni sono riuscito a sbloccare il file dov'era imprigionata e seguendo il filo dell'ultimo post ho deciso di pubblicarla. Ho aggiunto anche delle foto che avevo sul cellulare.

Il mestiere di tagliatore è molto pericoloso e usurante. Si opera all’aperto dal caldo torrido al freddo intenso. Siamo continuamente controllati a vista. Se ci fermiamo per riprendere fiato dobbiamo dare spiegazione. Le ronde dei controllori, capi e fiduciari, variano dal lasso di tempo di 10 minuti a un ora e a volte si piazzano nei pressi ad osservare. Il mio compito è quello di tagliare il materiale ferroso a pezzi di circa due metri per renderlo idoneo a essere rifuso in acciaieria.
Il costo dell’acciaio è di € 200 a tonnellata. Da quando sto qui, dal 15 Maggio ’06, avrò prodotto almeno 10 mila tonnellate di materiale. Ho portato la stessa tuta invernale per un mese e mezzo. Non ti danno la tuta di ricambio. Ultimamente stanno fornendo delle mascherine antifumo molto scadenti, made in China. Oltre al carbon koke, importano dalla Cina anche le mascherine in un'unica soluzione. Bisogna fare una lotta continua per poter avere il materiale di protezione anti fuoco quando si usura. Giro ormai con le scarpe senza lacci, ce chi va con le scarpe aperte e chi con i pantaloni strappati. Ad ogni richiesta vengono trovate scuse per ritardare la fornitura oltre che risposte, da parte dei capisquadra, scorbutiche e prive di rispetto per i subalterni.
Lo scarto delle acciaierie viene versato nelle paiole (grosse tazze 4m. X 4 circa) che sono scaricate nel mio reparto. Spesso il liquido si raffredda e viene fuori il “fondo”, un cumulo conico di acciaio che può arrivare a pesare anche 100 tonnellate.









Il nostro compito è quello di tagliare a pezzi i fondi.









Ci sono anche delle macchine tagliatrici che a loro volta provvedono a rimpicciolire il materiale fino alla misura idonea. Ci viene costantemente ricordato che le macchine, installate da poco, sono costate 8 milioni di euro e pertanto devono produrre al 100%. Da alcuni mesi l’operatore macchina deve segnare su un formulario ogni attività. L’orario di inizio e fine taglio, il numero di pezzi prodotti ed ogni inconveniente tecnico. Anche i tagliatori a terra devono segnare quanto materiale hanno prodotto finendo così per entrare in competizione fra loro e con le altre squadre. La pressione aumenta lenta e inesorabile. A Gennaio il caporeparto ha convocato tutte le squadre separatamente senza un rappresentante sindacale per esternare il suo disappunto nei confronti di ognuno perché la produzione non va al meglio e che gli orari devono essere rispettati fino all’ultimo minuto. Quando la mia squadra fu chiamata ci venne detto immediatamente che in quel frangente non avevamo diritto di replica, dovevamo ascoltare e basta, le nostre argomentazioni dovevano essere fatte in un secondo momento, cosa che è avvenuta parzialmente.
I capiturno sono operai passati di grado col compito di coordinare il lavoro delle squadre. Il criterio di scelta per i capisquadra o per chi deve operare in posti più “ambiti” come le macchine di movimentazione o quelle da taglio, sono arbitrari e ambigui. Si racconta che un capoturno molto scorbutico e maleducato, invita la sua squadra a mangiare di tanto in tanto al ristorante di un suo amico. Chi non si reca rischia di essere discriminato; le richieste di ferie possono non essere accettate, come ogni altra richiesta che va dagli indumenti, ai permessi e alla minaccia costante di rapporti disciplinari per ogni lieve inefficienza. A Dicembre la mia squadra decise di regalare un cesto natalizio al capoturno: un dono fatto ogni anno. Mi rifiutai di dare la somma di € 5 ai colleghi che segnavano il nome degli aderenti su un foglietto giustificandomi dicendo che, oltre ad essere contrario per principio, egli non era il mio capoturno perché loro lavoravano insieme a lui da 4 anni e io ne avevo cambiati già tre dall’inizio. Inoltre, egli doveva essere sostituito con un altro capoturno proprio a fine mese e in più, il mio contratto scade a Febbraio. Mi accorsi che il capoturno venne a sapere del mio, unico, rifiuto quando gli chiesi per l’ennesima volta una tuta di ricambio; lui mi rispose: io non sono il tuo capoturno. Mi ritrovai anche le ferie di Dicembre spostate senza preavviso.
Per chi fa i turni i pasti vengono presi dalle cucine e portate alla mensa del reparto. I pasti non vengono distribuiti ad ognuno ma vengono ammassati tutti su un tavolo. Allo scattare dell’orario si forma una calca furibonda fra chi si deve “accaparrare” il pasto ordinato in precedenza. Succede molto spesso che chi arriva per ultimo non trova niente o metà di quello che aveva ordinato al mattino o una pietanza diversa da quella desiderata. Un giorno rimasi senza secondo nonostante riuscii a tuffarmi in tempo nella mischia. Il ” buon” capoturno venne a sedersi di fronte a me per consumare il pranzo, una cosa rara visto che i responsabili mangiano in orari diversi e spesso in ufficio. Per non dargli soddisfazione non mi lamentai e mangiai quel poco che avevo travato.
Questo sta a dimostrare come ogni minima esercitazione di potere viene ostentata per fini che nulla hanno a che vedere con la famigerata produzione. Tutto il lavoro diligente che avevo svolto in quei mesi, ogni osservanza delle regole e della buone educazione (sono fra i pochissimi che porta sempre il casco) è stata resa vana per dei miserabili 5 euro. “Fortunatamente” questi è stato sostituito con un nuovo capoturno inesperto e ansioso che denota sicurezza con modi di fare arroganti e minacciosi. La sua qualità consiste nell’essere cugino di un caporeparto collegato al nostro.

Noi assunti tramite agenzia siamo 14 compresi quelli arrivati da poco. Per noi interinali “ogni sfumatura può compromettere il rinnovo del contratto”. Non possiamo fare assolutamente giorni di malattia; nel caso peggiore si scaricano le ferie. Sono entrato con un contratto a tre mesi che viene prorogato fino a un massimo di 4 volte. Se va bene potrò rimanere fino ad Agosto ’07. Noi non abbiamo nessuna tutela sindacale, dobbiamo adeguarci ad ogni loro volere.
Il contratto è dei metalmeccanici nonostante lavoriamo in un impianto siderurgico. Facciamo 40 ore settimanali mentre dovevano essere, col siderurgico, 35 con uno stipendio maggiore. Gli avanzamenti di livello sono a discrezione dei capi. Se si avanza di livello vengono tolti gli scatti di anzianità. Il cambio tuta è stato eliminato. Si marca l’orario all’entrata e ci si cambia, poi ci prende un pullman che ti porta al reparto dove si marca nuovamente facendo scattare l’orario effettivo. A fine turno si marca al reparto la fine delle otto ore, poi ci si reca agli spogliatoi per cambiarsi. Si fregano così almeno mezz’ora sulle nostre spalle. Ci sono pendolari che vengono anche dalla provincia di Lecce.
La sicurezza sul lavoro è approssimativa. La legge 626 scarica gran parte della responsabilità sull’operatore. Egli è in grado di capire da solo se un’azione è pericolosa o meno. Il richiamo ad osservare le regole della sicurezza viene effettuato solo se una determinata azione non coincide con il proseguimento della produzione. Se il carroponte è in movimento ci si deve fermare. Solitamente si continua a lavorare, in caso d’incidente la colpa ricade su di noi. I giacconi anti fiamma sono corti e non coprono la zona delle ginocchia. Quelli lunghi sono dati raramente forse perché hanno un costo maggiore. Chi ha la giacca corta ne prende una vecchia, la taglia ricavando una specie di gonnella che attacca con dei lacci. In caso di caduta, la gonnella, essendo fuori ordinanza, viene incriminata e relativamente la responsabilità dell’accaduto ricade sull’operaio.

Da più di un mese sto accusando dei problemi agli occhi.
Quando gli affatico cominciano a tremolare le palpebre. Quando arrivai notai che la visiera di protezione aveva un colore troppo chiaro per ripararmi dalla luce accecante dell’acciaio fuso. Ho avuto molte altre esperienze di lavoro nei cantieri in varie parti d’Italia con le ditte terze appaltatrici, oltre che nell’Ilava stessa. Le lenti da usare con la fiamma ossidrica sono molto più scure tanto da riconoscere a fatica l’ambiente circostante. Le postazioni dove operiamo sono disseminate di pietre e resti di materiale ferroso che costituiscono un pericolo costante di caduta. La scelta di un filtro più chiaro per la visiera da taglio sarà stata fatta forse per motivi di “sicurezza”. Il lavoro notturno, di sera, in mancanza della luce del sole, amplifica moltissimo la luminosità del liquido prodotto dal materiale fuso. Tutto ciò compromette la vista del tagliatore. C’è chi dice che tagliare di notte non è regolare.

Una sera, dopo aver tagliato un rotolo di lamiera, accusai dei disturbi agli occhi. Chiesi di essere portato all’infermeria dove mi recai. Il dottore che mi visitò non era un oculista e dopo avermi medicato con un collirio, mi invitò a ritornare di mattina quando c’era lo specialista. Il giorno dopo fui di riposo, il giorno seguente capitò di mattina. Non appena mi misi a lavoro notai subito una forte sensibilità alla luce del fuoco ed anche alla luce del sole. Ritornai all’infermeria e trovai l’oculista ingolfato dalle visite di routine agli operai che formavano una lunga fila fuori dal laboratorio. Io avevo la precedenza. Quando entrai il medico mi controllò sommariamente e disse: non ci sono corpi estranei. Ti metto un collirio e puoi ritornare al lavoro. Io alzai la voce dicendo: ma come, io ho un problema e lei mi liquida così? Mi sorprese la sua espressione esterrefatta quando osai fare delle rimostranze. Mi disse con un sorriso beffardo che dovevo andare fuori a far controllare la mia “riduzione” visiva perché forse avevo bisogno degli occhiali. Replicai dicendo: mi faccio male qui dentro e adesso devo andare fuori a curarmi? Me ne andai mentre quello mi guardava a bocca aperta. Continuai a lavorare, perché idoneo, cercando di non guardare troppo la fiamma. Il giorno dopo ancora chiesi al capoturno se potevo tagliare del materiale più leggero perché avevo dei problemi alla vista. Questi disse ad alta voce davanti a tutti: ci vuole la carta scritta sennò non posso fare niente. Non mi sto inventando le cose, replicai, ed egli chiuse: non posso farci niente. In quei giorni “mi curai” con un collirio comprato in farmacia. Mi ripresi dopo quattro, cinque giorni salvo il persistere del fastidioso tremolio. Volevo farmi visitare da un privato, ma il costo per la prima visita è di € 50, una giornata di lavoro. Ho deciso di prenotare una visita nel pubblico per poter avere una “carta” valida da presentare. Il 14 Marzo ho un appuntamento a 30 Km da casa grazie al sistema “d’incontro” fra domanda e offerta. Spero che mi diano una feria per quel giorno.
Nei turni che faccio capitano anche 8/9 notti al mese. In questa turnazione è previsto un “riposo compensativo” che cade in un giorno diverso per ogni componente della squadra. Notai che la differenza di stipendio fra noi e chi faceva un’altra turnazione con una o due notti al mese, era minima. Credevo che questo riposo compensativo doveva essere un riposo retribuito. Infatti quando chiesi al capoturno, poi ad uno nell’ufficio ed in fine a un delegato sindacale, la prima risposta fu: si, il riposo è retribuito. Salvo poi constatare che non lo era. Quando ho fatto notare questa “sfumatura”, hanno subito ritrattato dando risposte vaghe: no, non so, non lo pagano, non è previsto. Alla fine mi è stato spiegato che quel riposo serve a compensare il numero dei giorni di lavoro che non devono superare un certo numero di ore mensili. Se ciò è vero, perché non eliminano un giorno a tutte le squadre evitando anche l’incombenza di dover comunicare ogni mese ad ogni operaio qual’è il suo giorno di riposo. Non credo sia un problema di calcolo matematico. A rigor di logica, se faccio una o due notti al mese mi spetta la maggiorazione prevista, ma se le notti sono otto mi spetta o no un incentivo maggiore per una turnazione molto più pesante?
I delegati sindacali si vedono raramente. Prima erano due, adesso, dopo le ultime elezioni ne è rimasto solo uno della Uilm su circa 200 operai. Parlare con loro non è ben visto dai capi. Annunciare di voler tesserarsi non è consigliabile. Quando chiesi a uno di loro se si potevano avere le tute di ricambio mi ha risposto: le tute ci sono, sono le taglie che mancano.
L’idea di produttività coincide con l’idea di velocità. Più veloci, più produttivi. Questo sistema è giusto per i lavori manuali non pericolosi e privi di particolari doti professionali. Nell’ambito di questi mestieri ho imparato che la produzione viene aumentata con il metodo e non con la velocità C’è da dire che sono stati gli stessi operai a infondere questa concezione del lavoro. Col cambio generazionale sono stati assunti migliaia di giovani privi di esperienza. Questo ha comportato un abuso da parte dell’azienda grazie anche ai contratti a termine o d’inserimento che hanno avuto l’effetto di “addomesticare” l’operaio prima dell’assunzione finale. Mentre prima, con i vecchi operai, si lavorava ad un ritmo più umano, anche troppo, adesso si è passati all’altro estremo. Una delle preoccupazioni degli operai è di farsi vedere in movimento come se facessimo i ballerini i quali non ballano certo per otto ore al giorno. È stata diffusa una leggenda che i direttori dell’azienda o la proprietà, salgono in cima all’altoforno n. 5 e con un cannocchiale scrutano l’attività del reparto. Quasi nessuno sa che salire sull’altoforno non è agevole e quando è in marcia, la temperatura e il rumore sono altissimi.

I più maligni affermano che è un problema di budget. Ad ogni reparto viene assegnato un tetto di spesa per tutto l’anno. Quello che si riesce a risparmiare viene diviso fra i capi del reparto. Qualcuno mi ha raccontato che prima di natale tutti i capireparto e annessi, si sono riuniti nella mensa grande e la “proprietà” di Riva ha distribuito gli assegni.
Volevo far notare che il metodo del risparmio è giusto, ma non deve riguardare anche gli indumenti degli operai o l’occorrente per la sicurezza.
Con questo sistema l’azienda ha in pratica spezzettato lo stabilimento in tanti reparti autonomi che da soli provvedono a risparmiare fino all’osso per poter avere un osso a fine anno.

Non capisco una cosa: come mai l’azienda ha speso 8 milioni di euro per due macchinari che producono una cifra simbolica di 20 a giorno. Due operai producono rispetto alle macchine una cifra di 8. Facendo le proporzioni il rapporto costo beneficio è molto più vantaggioso tenendo l’operaio. Se si calcola che una macchina dovrebbe avere una longevità di 50 anni, salvo constatare che già dopo 10 anni, con tutti gli interventi di manutenzione, di originario rimane solo la carcassa. Un operaio, se preso giovane, dovrebbe lavorare 30 anni. Se questi prende 15mila € netti all’anno per 30 anni fa 450 mila euro. Come funziona l’economia? Viene preferito indirizzare grandi capitali in una macchina mentre nell’uomo viene adottata una politica di rigoroso risparmio?
Nei primi sei mesi di lavoro non sono riuscito a mettere nulla da parte. Non ho debiti o altre uscite. La media è stata di 1100 €.

Immagini in sequenza









Come ho accennato in precedenza, il fondo è un cumulo di acciaio che viene prodotto dallo scarico delle paiole provenienti dalle acciaierie. Si tratta di scarto di produzione. Lo scarto viene tagliato in pezzi idonei e rimandato alle acciaierie per essere rifuso.
Il fondo, che può misurare fino a 4m x 4 e pesare oltre 100 tonnellate. Viene tagliato prima a mano per dividerlo in due o tre grandi pezzi e poi viene messo sotto le macchine che provvedono a rimpicciolirlo ulteriormente fino alla misura “pronto forno”.
Il taglio manuale viene effettuato da due operai con l’ausilio della fiamma ossidrica (cannello) e della cannetta. Dopo aver piazzato il fondo sulla postazione da taglio, viene chiusa sopra di esso una grossa cappa di aspirazione che lo ricopre completamente. Le pareti della cappa sono fatte di strisce di lamiere apribili. La coppia di operatori incidono il fondo prima col cannello che ha una capacità di taglio fino a un massimo di cm. 20 di profondità, di seguito viene aggiunta la cannetta che è un tubo di circa mezzo pollice lunga 6 m. che espelle ossigeno ad altissima pressione. Il getto d’ossigeno consente di prolungare il taglio e agire su tutta la lunghezza del fondo tagliandolo dall’alto verso il basso.
Molto spesso il cumulo di acciaio presenta nel suo interno alcune impurità rappresentate da pietre, pietrisco, terriccio, pezzi di mattoni refrattari e, molto raramente, essendo il fondo anche cavo o pieno di crepe, si può depositare al suo interno acqua piovana che al contatto con il liquido incandescente reagisce esplodendo. Quando il fondo è sporco il taglio viene fatto dal basso verso l’alto con l’ausilio della sola cannetta.
Durante il lavoro l’operaio viene spesso investito da scintille incandescenti che possono penetrare negli indumenti di protezione e provocare bruciature. Il pericolo maggiore è rappresentato dal liquido fuso che si deposita sotto il fondo durante il taglio. Se si immerge troppo la cannetta nel liquido, e questo non trova sfogo per fuoriuscire, può ritornare addosso al tagliatore che non avrebbe scampo nonostante gli indumenti ignifughi.
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Quando si arriva sul luogo di lavoro si ha subito una sensazione di precarietà. La roba viene appesa a ganci di fortuna, le bottiglie d’acqua sono appoggiate su ripiani momentanei o su muretti. Il classico è un tavolaccio poggiato sul bidone della spazzatura.
D’estate le temperature con indosso la cappotta ignifuga sono altissime. Si lavora a singhiozzo fin quando si può resistere. Poi ci si spoglia e si mette la maglietta inzuppata di sudore a stendere su fili ricavati con le molle delle mascherine.
Nel parco rottame non c’è praticamente riparo contro il sole. Ci si accuccia dietro ai pochi ripari che proiettano un’ombra, ma quando arriva il mezzodì si resta come nudi a crogiolare al sole. Intanto l’acqua è diventata bollente. In verità, dopo le proteste è stata messa una capannina contenente un distributore frigo di acqua per tutta l’area rottame.
Per riscaldarsi d’inverno si usa mettere il cannello acceso dentro un bidone di ferro. A volte succede che ci si riunisce attorno al bidone a prendere un caffè seduti su panche ricavate al momento o saltellando in piedi intirizziti dal freddo. Osservare questi uomini con i vestiti logori e bruciacchiati, la cuffietta in testa, stretti l’un l’altro, sembra una scena dei film americani che mostrano i barboni nei vicoli attorno al fuoco.
Durante il lavoro il calore sprigionato dal fondo ti riscalda il davanti mentre le spalle rimangono esposte al freddo. Si ottiene così una doppia sensazione, metà bollente e metà congelato. Sul suolo lunare si avrebbe lo stesso effetto: se ti metti all’ombra scendi molto sotto lo zero, se ti metti al sole arrivi a 100°. Con la roba ignifuga di colore argento e la visiera avvolgente attaccata al casco, assomigliamo vagamente a degli astronauti. Quando ci aggiriamo tra le migliaia di fondi ammassati sembra di stare su un altro pianeta.
Quando piove si cerca riparo nelle capannine allestite da poco. Quando spiove ci viene chiesto di ritornare ad occupare la postazione. A volte si verifica che non appena si arriva al posto ricomincia a piovere e nasce un andirivieni comico e umiliante.

Il reparto è diviso in due. Una metà, detta parco rottame, è adibita al taglio di materiale leggero come lamiere o risulta di demolizione d’impianti o interi rotoli di lamiere scartati. Nel parco rottame sono presenti tre macchine tagliatrici di vecchia concezione chiamati pirotomi. Sono privi di aspirazione e i fumi investono spesso i tagliatori a terra. La cabina di comando delle macchine misura ad occhio due metri per due, giusto lo spazio necessario per sedersi. Sono dotate di aria condizionata e riscaldamento ma i fumi riescono ad entrare lo stesso all’interno. Subito adiacente vi è il parco scoria adibito allo scarico delle paiole provenienti dalle acciaierie. Durante l’operazione di scarico sprigionano una nube densa che ricade su tutto il reparto a seconda del vento. A volte si verificano delle forti esplosioni quando il liquido sommerge una pozzanghera di acqua.
Nel vasto parco scoria si trovano tre macchine tagliatrici dotate di aspirazione e con una cabina di comando molto più grande e confortevole. Sono presenti anche tre cappe movibili per il taglio manuale dei fondi come già ho spiegato.

Nell’ ultima settimana in una di queste cappe è comparsa una novità. -Le cose cambiano, compaiono e scompaiono da un giorno all’altro senza sapere assolutamente nulla delle strategie di produzione.- Ho provato a chiedere in giro se la produzione del nostro reparto e dell’Ilva in genere, sia cresciuta e di quanto: nessuno sa niente.
La novità è rappresentata dall’allestimento di una nuova manichetta per l’ossigeno da collegare a cannette grosse un pollice, il doppio di quelle usate fino ad ora. Nessuno dei più “vecchi” ha mai visto o usato tale strumento. La pressione aumenta… letteralmente. Il misuratore di pressione dell’ossigeno ha sempre segnato 14 bar, adesso supera il limite dei 16. La nuova manichetta ne può sopportare 20. Secondo alcune voci questo strumento sarà usato solo in casi estremi cioè, solo di fronte ad un materiale molto sporco.
Il problema dello sporco è rappresentato dalla presenza di pietre o mattoni refrattari all’interno dell’ammasso acciaioso. Occorre sciogliere la pietra puntando la cannetta contro di essa e per via dell’alta temperatura che si crea si ottiene lo sfarinamento dell’impurità.
La cannetta di ferro, lunga 6 m., si consuma quanto più si accosta al materiale in fusione, pertanto si accorcia sempre più finché l’operatore non si trova a pochi centimetri dalla zona di taglio. Quanto più ci si avvicina, tanto più si viene investiti da scintille, polveri e fumi.
Ho cercato di capire se si potesse eliminare lo sporco direttamente alla fonte. Le paiole non sono rivestite di materiale refrattario. Per evitare che l’acciaio si attacchi cementando la paiola stessa, si usa buttare all’interno della paiola vuota una palata di terriccio per formare una patina sulle pareti sufficiente a non far attaccare il materiale. Nel terriccio usato si trovano anche pietre ecc. Le impurità provengono anche dall’acciaieria stessa perché scarica nelle paiole il materiale di scarto. Non conosco bene il procedimento ma temo che non ci sia nessuna politica atta a prevenire questo inconveniente alla fonte. Si racconta che un tempo i “vecchi” scegliessero i fondi migliori da tagliare, mentre i più sporchi venivano mandati alla discarica. In fine, i pezzi idonei per ritornare in acciaieria, nonostante siano sporchi, vengono ugualmente rifusi per poi ritrovarli nuovamente come scarto da lavorare.

Ho il sospetto che nonostante la produzione sia aumentate vertiginosamente, il numero degli operai viene mantenuto al minimo. Ciò si può notare dal numero di paiole da “sbloccare”. Non sempre le paiole scaricano tutto il materiale, succede che parte di esso rimanga attaccato alle pareti del contenitore o che il fondo, ormai indurito, non riesca ad uscire dalla paiola perché si è deformata. Il carro sui binari che trasporta le paiole viene mandato nella zona di sbloccaggio. Questi carri hanno il sistema di ribaltamento che consente alla tazza di ruotare per svuotarsi. Il numero di questi sbloccaggi è aumentato di molto, infatti un tempo se ne verificavano pochi al mese, adesso è un evento quotidiano.
Il compito di sbloccare le paiole è dei tagliatori. Il carro, contenete le tazze in modo orizzontale, viene ribaltato in verticale per poter operare nella bocca della paiola. Questa operazione è molto pericolosa perché è capitato spesso che per via del peso enorme, la paiola sia caduta a terra portandosi appresso il vagone su cui è posta.









Quando “l’equilibrio” viene accertato si procede all’operazione. I tagliatori si piazzano sotto e praticano un taglio orizzontale per tutta la lunghezza del pezzo facendo attenzione a non intaccare o bucare il contenitore.
Successivamente un grosso martellone provvede a battere il pezzo con la speranza che caschi a terra. Sono stato a quella postazione una decina di volte. L’impatto è impressionante, una grossa massa grigia pende minacciosa sulla tua testa. Una volta è anche caduto il fondo durante la lavorazione, l’operaio è riuscito ad evitare il peggio. Chi opera in quel posto non usa la “gonnella” per proteggere le ginocchia perché deve essere pronto a scappare quando le cose si mettono male. Il vagone carico peserà alcune centinaia di tonnellate. Le cappotte lunghe fin sopra le caviglie sono rare, dicono che non ci sono in magazzino.




Ogni volta è una lotta per avere il ricambio delle scarpe e degli indumenti. Un collega ha ormai le scarpe col ferro di protezione praticamente scoperto. Ha chiesto il ricambio ormai da due settimane, gli viene detto che l’ordine è partito salvo scoprire che i magazzinieri non sanno nulla. Basterebbe andare al magazzino centrale e caricare la roba ma i responsabili hanno altro a cui pensare. Cos’altro? Passano il tempo a girare in auto e “guardare” lo svolgersi dei lavori.




Si racconta che adesso gli infortuni vengono tramutati in malattia. Un collega è venuto a sapere che in un altro reparto, un operaio dopo aver avuto un incidente d’auto mentre si recava sul posto di lavoro si è visto cambiare l’infortunio in malattia. Ha chiesto spiegazione al suo capoturno che gli ha risposto che l’infortunio vale solo viaggiando il pullman: quello l’ha bevuta e si è tenuto la malattia. In caso di straordinario però, viene richiesto di recarsi in auto.
In riferimento a ciò, nel nostro reparto si maligna che il caporeparto tendi a separare i gruppetti che si recano al lavoro con lo stesso mezzo per i seguenti motivi: 1) evitare l’infortunio di gruppo in caso d’incidente; 2) evitare l’impossibilità di rimanere a straordinario perché si viaggia insieme ad altri.
Si vocifera che negli ambienti sindacali riconoscono il nostro reparto, GRF, come il peggiore dal punto di vista dei rapporti interpersonali con i superiori. Non ho mai visto tanta maleducazione e mancanza di rispetto nei confronti degli operai. Proprio l’altro giorno il mio capoturno ci ha esortato ad andare al lavoro con la frase: hei, forza, tutti allu chiazzu. Lo scopo di questa frase è quello di ostentare sicurezza e polso di fronte ai colleghi e agli altri operai. Mi sono fatto spiegare da un amico cosa significasse la parola dialettale “chiazzu”: essa sta ad indicare la zona verde adibita al consueto pascolo delle pecore.
Mi è stato raccontato che quando il nuovo capocantiere s’insediò, si presentò facendosi trovare d’avanti all’entrata durante il cambioturno. Con voce alta sollecitava gli operai a sbrigarsi e alzare un passo troppo lento.
Fino ad allora, il nuovo capocantiere, era stato sempre in ufficio a timbrare fogli. Ha lo stesso atteggiamento di un capitano dell’esercito di buona famiglia mandato presto in accademia e con nessuna considerazione umana verso il soldato semplice.

I capiturno sono cinque di cui solo uno (messo ora in “panchina” perchè troppo buono con gli operai) vanta una lunga esperienza come tagliatore, gli altri sono tutti movimentatori, portavano i mezzi e non capiscono cosa vuol dire tagliare i fondi.
C’è stato un mesetto in cui due macchinisti (conduttori di locomotive) miei compaesani, furono accorpati al mio reparto per non so quale motivo. Successivamente furono reintegrati nuovamente al loro reparto di provenienza. Mi raccontano che durante la loro permanenza nessuno dei capi gli ha mai salutati o trattati con gentilezza. Quando si seppe che dovevano rientrare al loro reparto, improvvisamente i vari capi cominciarono a salutare e ad essere gentili con loro.
La “cupola” del mio reparto è variegata. C’è una piccola sezione distaccata e inidpendente che si occupa prettamente dello scarico delle paiole; poi c’è la mia sezione composta nello stesso modo. Al vertice si trova il fiduciario dell’azienda che non ha ufficialmente responsabilità diretta. Il suo compito è esclusivamente di controllare l’andamento dei lavori, insomma: l’occhio del padrone.

Sono andato oggi, 28/02, a firmare una nuova proroga del contratto interinale. Siamo circa una decina e questa volta c’è una novità: mentre le prime proroghe sono state per tutti pari a tre mesi, questa volta c’è stata una diversificazione per cui ad alcuni, me compreso, sono stati dati tre mesi, ad altri 5 e 7. La scelta sembra priva di un metro di valutazione tecnico. Infatti la progressione della proroga sembra casuale senza tener conto di chi è più o meno alacre. Ad esempio, un collega che è in malattia e ne ha fatta un'altra in precedenza ha avuto una proroga di 5 mesi fino ad agosto.
Ci è stato detto in maniera semi ufficiale, che l’uso della malattia può comportare una nota di demerito “letale” così come l’adesione agli scioperi.
Ad ogni fine proroga siamo come quei gladiatori che nonostante abbiano combattuto con tutte le loro forze, si ritrovano inevitabilmente a terra con una spada puntata alla gola. Da quella posizione guardiamo con sguardo fiero la mano che decreterà la vita o la morte.

Le turnazioni si suddividono in: 1) normalisti, solo la mattina dalle 7 alle 16, otto ore più una per la pausa mensa. I festivi sono liberi; 2) i turni chiamati “ballerini” che sono una miscuglio fra i tre turni giornalieri e comprendono tutte le festività e prevedono, oltre al primo e secondo, una o due notti al mese; 3) chi fa i ‘21turni’ come me, vuol dire che fa parte della squadra. Le squadre sono quattro di 20 persone circa e coprono tutto l’arco del mese giorno e notte. 7/8 primi, 7/8 secondi, 7/8 notti e 7/8 riposi +1 detto compensativo.
Faccio un esempio di come si susseguono i turni “ballerini”. Considerando il n.1 come mattina, il 2 come pomeriggio, il 3 come notte e la lettera R come riposo, si avrà ad un certo punto questa serie: R, R, 1, 1, 1, 2, R, 1, 1, 2, 3, 3, R, 2, 2, 2, 3, R, R, ecc. Fra i due turni di riposo consecutivi ci sono stati 15 giorni di lavoro continuati intervallati solo da due riposi! In pratica, 6,5 giorni di lavoro a settimana aggravati dallo scombussolamento fisiologico fra notti in bianco e pasti fuori orario. Inoltre, quando il riposo cade subito dopo il turno di notte (si attacca alle 22:50 della sera ma già a mezzanotte scatta il giorno di “riposo”) l’orario di lavoro è sforato nel giorno di riposo. Il giorno prima si dorme per affrontare la notte e il giorno dopo, nel riposo, si riposa dalla notte. Per completezza riporto la mia turnazione del mese di marzo evidenziando la quindicina massacrante: turnazione del marzo ’07 della squadra C

3,R,2,2,3,3,R,R,1,1,1,2,R,1,1,2,3,3,R,2,2,2,3,R,R,1,1*,3,3,R,2.
(*) Riposo compensativo che capita in un giorno diverso per ogni componente della squadra

Il nostro reparto non fa parte della “produzione diretta” dello stabilimento. Solo il reparto attiguo della scoria è “produzione” perché provvede a scaricare la paiole provenienti dalle acciaierie. Non ci sarebbe bisogno di adottare i turni su 24 ore. Sono entrati in vigore nel giugno del 2005 senza nessun motivo apparente. Volendo, il lavoro nel GRF può essere benissimo effettuato nelle ore diurne. I reparti “produttivi” hanno vantaggi maggiori rispetto a noi come livelli e premi di produzione più alti. Il reparto scoria, ad esempio, ha ricevuto da poco il superminimo in busta paga: 7€ in più al mese, un toccasana.
La decisione di adottare quelle turnazioni è arbitraria. Teoricamente non siamo produzione ma di fatto si.
A metà marzo il mio collega interinale smontante dalla notte mi ha riferisce che il loro capoturno è rimasto piantonato vicino alle cappe. Sedeva in macchina poco distante e seguiva i lavori. Quando il fondo era finito di tagliare scendeva dall’auto e sceglieva quale pezzo tagliare e il tipo di taglio da fare, poi tornava in macchina ad aspettare. Questa pressione è inutile e illegale: chi è del mestiere conosce in anticipo quanto tempo ci vuole per finire un determinato lavoro; al caposquadra non resta che passare nell’ora presunta e chiedere con cortesia se ci sono problemi.

Questo capoturno è un ex conducente di camion, non ha nessuna esperienza diretta nell’uso del cannello. Si racconta che quando costui “lavorava”, nei tempi in cui c’erano ancora i vecchi operai e il lavoro era molto più “umano”, egli invece di svolgere la sua mansione prendeva il camion e se ne andava in un altro reparto a trovare gli amici. Per poterlo far produrre il reparto pensò bene di elevarlo di grado promuovendolo a capoturno.
Ho lavorato con ditte appaltatrici in varie parti d’Italia. Queste ditte devono consegnare il lavoro entro un tempo prestabilito superato il quale si paga una penale. Quando si va fuori tempo non si esercita pressione sugli operai più di tanto perchè si sa quanto lavoro si può fare in un’ora in sicurezza. La causa dell’errore di calcolo viene ricercata altrove: imprevisti e altri inconvenienti oppure carenza di materiale o inadeguatezza dei mezzi.
La pressione è inutile oltre che pericolosa per la sicurezza. La considerazione che l’operaio è un fannullone è un mito. Stare fermi senza attività è uno strazio, la giornata non passa mai. L’uomo, per sua natura, deve fare attività. Giorno e notte siamo in preda alla paura. Ogni macchina che passa è motivo di preoccupazione: chi può essere? Facciamo attenzione.
Qui si passa molto tempo e si nota. Ho provato a parlare di altri argomenti con i colleghi. Ho chiesto ad alcuni di loro se usassero internet, uno mi fa: sei andato sul sito dell’Ilva? Un altro mi diceva che un suo amico gli mostrò l’intero globo terrestre tramite le foto dei satelliti: abbiamo cercato casa mia e poi ho voluto vedere l’Ilva. Non c’è altra cosa nella vita di questa gente?

Ho notato che gli operai stessi sono corresponsabili del loro destino. Credo che ad esempio, il pregiudizio dell’essere osservati è stato introdotto anche dagli loro stessi i quali , molto spesso, non sono qualificati, non provengono dal mondo metalmeccanico ed hanno introdotto una concezione del lavoro di tipo agrario o artigianale; alcuni non si rendono pienamente conto di aver a che fare con mezzi e materiali che possono diventare letali. I vertici ne hanno approfittato.
I contratti d’ingresso, d’inserimento, ecc. a 2/3 anni sono serviti ad “addomesticare” il personale all’accondiscendenza, alla passività. C’è gente confermata che evita la malattia o non richiede ferie per una paura ingiustificata e “ancestrale”. A fronte dell’aumento della produzione il personale e scarso. Chi svolge alcune mansioni particolari non ottiene facilmente le ferie maturate.

Da quando ho scritto questa relazione la situazione al reparto è progressivamente peggiorata. Gli operatori devono compilare un rapportino dove riportano tutti i movimenti che compiono durante la giornata. I turni che vanno dal mattino al primo pomeriggio sono diventati un incubo. I luoghi di lavoro sono praticamente piantonati per sollecitare la produzione. Nonostante la crisi lo smaltimento del materiale ferroso continua a pieno ritmo.

Link collegati: L'Ilva vista dall'interno; La Gigroup mi liquida con un SMS

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bah, che dire.. impressionante. Anche se è pieno di "pare", "sembra", "si racconta"...

Insomma il 50% è un po' inventato, il resto sarà pure vero, ma il tipo mi pare comunque un po' rompiscatole...

Il blog di Masciullo ha detto...

Pensala come ti... pare.