giovedì 16 aprile 2009

La democrazia del terrore



Viviamo in un regime terrorista chiamato democratico.
La gente è terrorizzata. Ognuno di noi è pervaso da una minaccia costante, da un'insicurezza cronica, dal terrore di ciò che potrà essere.


Si ha paura o timore. Una preoccupazione continua che i propri diritti non saranno rispettati, di non poter adempiere ai doveri o esprimere liberamente i sentimenti e la propria personalità.
La gente ha paura di tutto, della macchina burocratica, quando va in banca o si ricovera in un ospedale pubblico, ha timore di fare una denuncia, di aprire la posta, di parlarne con gli amici, di chi bussa alla porta, del cosa dirà la gente, della rata che scade, di sposarsi e crescere figli, di guardarsi negli occhi e dire ti amo, ecc.

Si avverte più facilmente sul lavoro. Colleghi, superiori e subalterni hanno una preoccupazione latente e viva, perdere il lavoro e con esso la possibilità di trovarne un altro. Libertà è avere sempre una degna alternativa. Questa malattia colpisce tutti indistintamente, basta vedere i giornalisti asserviti, i deputati nominati, gli imprenditori in crisi, i magistrati trasferiti e gli inquisiti in fuga dai loto reati. Tutti sono coperti da una minaccia impalpabile.


Per asservire un uomo o un popolo, basta tenerlo in astinenza. Nell'inedia gli uomini sono deboli e facilmente ricattabili. Io ravviso tre tipi di astinenza: alimentare, sociale e culturale.
Per soggiogare un popolo bisogna ridurlo alla fame, isolarlo e tenerlo nell'assoluta ignoranza.
Gesù stesso fu tentato dal male solo dopo un lungo digiuno nel deserto. Al contrario invece, chi è in forza ed è tutelato, riesce a realizzarsi liberamente secondo le proprie attitudini. La mancanza di tutela è istigazione a delinquere.

Non so se questa strategia del terrore sia consapevole o meno ma è certo che chi la attua è a sua volta spinto dalla paura di perdere il potere che esercita in quel momento. I maggiori fautori della tecnica del terrore sono le religioni assolutiste (musulmani, cattolici) che, radicatisi nel tempo, hanno prodotto una cultura [concezione di se in rapporto col mondo e i sentimenti] del terrore ormai cronicizzata che a sua volta finisce con l'esprime politiche sociali che si plasmano inconsapevolmente su quei meccanismi perversi di assoggettamento.

Pertanto, credo fermamente che uno stato cosiddetto democratico debba garantire a tutti una innegabile rassicurazione nell'espletare quei bisogni essenziali che danno dignità agli uomini. In questo modo, il chirurgo non costringerà il figlio a fare il chirurgo volendo fare l'ingegnere, perché cosciente del fatto che in questa giungla non potrà sostenerlo nei suoi intenti, ci sarà un padre ingegnere che a sua volta tutelerà il figlio o il nipote contro ogni estraneo. Allo stesso modo i parlamentari non si copriranno di benefici, stipendi d'oro e bustarelle. I privilegi dei politici e della classe dirigente sono la cartina di tornasole che si contrappone all'assoluta mancanza di garanzie che versano i cittadini, è un'azione di riflesso: mi garantisco il massimo in una società priva di garanzie.

La solitudine nasce dalla mancanza di rapporti interpersonali. Tutto ciò ricade sulla famiglia. Nella famiglia si convoglia tutto quello che si ricava dall'esterno e nessuno può entrare nella famiglia per paura che venga depredata in favore di un'altra famiglia, v. le aziende a conduzione familiare. La famiglia come la concepiamo noi è chiusura verso la società, è spesso una prigione. Invece, l'individuo raggiunta la maggiore età deve distaccarsi dalla famiglia di origine come il frutto con l'albero per creare una nuovo nucleo familiare indipendente e conservare col vecchio solo rapporti affettivi. Con la consapevolezza di potersi affidare allo stato, alla società civile che lo salvaguarda tramite la legge, si riduce il bisogno di doversi affidare alla famiglia, al parente, al compare, al clan, all'organizzazione segreta, ecc.
Nell'ignoranza l'individuo non sa orientarsi, perde la bussola e diventa insicuro delle proprie capacità e possibilità di realizzazione. E' costretto ad affidarsi nelle mani di altri, a delegare e diventare servo del professionista che usa la sua posizione di privilegiato come leva di potere.

Un mondo libertino, anarchico, senza regole e certezze porta ad una involuzione delle società ad uno stadio selvaggio e atavico che si rispecchia noi codici giuridici, nei rapporti economici e manifestazioni culturali. Un società degna di questo nome deve garantire ad ogni individuo la dignità connessa alla possibilità di realizzare i bisogni essenziali. Libertà è poter compiere degli obblighi. Una società che non provvede ad espletare i bisogni antropologici di chi ne fa parte finisce col regredire passando da una organizzazione detta società-civile ad una organizzazione di tipo gregario. Al contrario di una comunità di uomini, basata su prìncipi di convivenza civile, su sentimenti nobili come amore, solidarietà, respetto, altruismo, ecc. gli animali che vivono in gruppi sono spinti da una convenienza utilitaristica dello stare insieme. Aggregarsi è utile perché è più facile trovare cibo e difendersi dai nemici. La scelta di vivere in branco è solo speculativa e ha come unico intento quello di approvvigionare cibo e riprodursi, tipici bisogni degli animali.

Questo è quello che succede in Italia, un branco di belve selvagge ci terrorizza per un unico fine: magnare e fottere.

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